Che cos’è la cardiopatia ischemica?
La cardiopatia ischemica è una patologia caratterizzata dalla presenza di restringimenti, dette stenosi, all’interno delle arterie coronarie. Le arterie coronarie sono i vasi che portano sangue ricco di ossigeno al cuore. Le due coronarie, sinistra e destra, originano dall’aorta subito dopo la valvola aortica. La coronaria destra nutre la parte destra del cuore (atrio e ventricolo destro), la coronaria sinistra nutre l’atrio sinistro e il ventricolo sinistro. Le coronarie danno origine, lungo il loro decorso, a rami secondari che originano biforcandosi dalla coronaria principale come i rami di un albero, diventando sempre più piccole andando verso la periferia. La coronaria sinistra origina con un “tronco comune” che si biforca precocemente dando origine al ramo interventricolare anteriore (o discendente anteriore) e all’arteria circonflessa.
Il restringimento delle arterie coronarie è causato dalla presenza di placche costituite da ateroma (grasso, tessuto fibrotico e calcio), che impediscono il passaggio di una quantità di sangue adeguata. Quando il fabbisogno di sangue al cuore non è soddisfatto compare l’angina, il sintomo caratteristico di questa patologia, caratterizzato da un senso di oppressione al petto, che può essere irradiato anche al giugulo o al braccio sinistro. Questo sintomo può comparire sotto sforzo, cioè quando il cuore aumenta le sue richieste di sangue, oppure anche a riposo, segno questo di una patologia in stadio avanzato con stenosi molto severe.
A volte una placca può rompersi e dare origine alla formazione di un trombo, cioè un coagulo di sangue, che comporta la completa occlusione della coronaria causando l’infarto miocardico.
Per fare diagnosi di stenosi coronarica è necessaria l’esecuzione di una coronarografia con accesso a livello radiale o femorale attraverso una puntura con una piccola anestesia locale. Questo esame attraverso l’iniezione di mezzo di contrasto nelle coronarie, consente la visualizzazione e la valutazione delle ostruzioni dovute alle placche. La cura di questa patologia consiste nel far arrivare la quantità adeguata di sangue a valle delle stenosi e questo può essere fatto in due modi, con l’angioplastica coronarica o con l’intervento di bypass. La scelta del trattamento ottimale per il paziente con cardiopatia ischemica deve tenere in considerazione le caratteristiche delle lesioni coronariche, l’età del paziente e la presenza di altre patologie.
La letteratura contemporanea ha studiato approfonditamente queste due tecniche di trattamento e ci ha fornito molte informazioni importanti per selezionare l’opzione terapeutica migliore per ogni paziente.
L’angioplastica e l’intervento di bypass non fanno scomparire la malattia, che consiste nella predisposizione alla formazione dei restringimenti. Per questo motivo l’eliminazione dei fattori di rischio con il cambio dello stile di vita, delle abitudini voluttuose e della dieta diventa importantissimo nell’impedire la progressione della malattia. I fattori di rischio più frequentemente responsabili della patologia coronarica sono infatti l’ipercolesterolemia, l’ipertensione arteriosa, il fumo, il diabete, lo stress e la predisposizione familiare.
Che cos’è l’intervento di bypass aortocoronarico?
L’intervento di bypass crea una strada alternativa attraverso la quale il sangue ossigenato raggiunge il muscolo cardiaco a valle della stenosi coronarica. L’intervento di bypass può essere realizzato utilizzando diversi tipi di condotti (arteriosi o venosi) che garantiscono il flusso di sangue al muscolo cardiaco. Il rischio di formazione di nuove stenosi dopo l’intervento di bypass è molto inferiore all’angioplastica e può essere quindi considerato un trattamento più definitivo. In particolare alcune classi di pazienti, come ad esempio i pazienti giovani e i pazienti con diabete hanno il massimo vantaggio dal trattamento della cardiopatia ischemica mediante bypass, godendo del massimo rapporto costo-beneficio.
Come si svolge l’intervento di bypass aortocoronarico?
L’intervento di bypass aorto-coronarico viene generalmente eseguito mediante una sternotomia mediana longitudinale. Si può quindi eseguire l’intervento in due modi: con l’utilizzo della circolazione extracorporea (macchina cuore-polmoni), o senza di essa, cioè a cuore battente (off-pump). La decisione di come eseguire l’intervento è presa dal chirurgo, in base a diversi fattori tra cui il numero di bypass da eseguire, il grado di stenosi e la loro localizzazione, la funzione del cuore e la presenza di co-patologie e/o controindicazione a fermare il cuore o all’utilizzo della circolazione extracorporea. I condotti utilizzati per creare una via alternativa al sangue per raggiungere il cuore a valle della stenosi possono essere arteriosi o venosi: quelli arteriosi hanno meno probabilità di andare incontro a ostruzioni nel tempo e hanno quindi una durata nel tempo più favorevole. Il condotto arterioso più utilizzato è l’arteria mammaria che si trova all’interno del torace, decorrendo parallelamente ai due lati dello sterno. Altri condotti arteriosi utilizzati sono le arterie radiali che si trovano nel braccio. I condotti venosi hanno durata nel tempo inferiore a quelli arteriosi ma sono preferibili per alcuni pazienti o condizioni cliniche. Come condotto venoso si usa la vena safena che è situata nell’arto inferiore e si estende dalla gamba alla coscia.
L’intervento di bypass aortocoronarico è pericoloso o doloroso?
Come qualsiasi procedura chirurgica l’intervento di bypass aortocoronarico può essere associato a diverse complicazioni chirurgiche o anestesiologiche, come sanguinamento, infezioni, danno neurologico, scompenso cardiaco, infarto peri-procedurale. Altre complicanze meno gravi consistono in infiammazioni e versamenti delle pleure, fibrillazione atriale, dolore, scarso appetito, febbricola. Un’attenta preparazione e profilassi è in grado di minimizzare questi rischi a percentuali estremamente modeste.
Generalmente il rischio di morte associato a questa procedura è inferiore al 2%, ma per ogni singolo paziente è necessaria una valutazione del rischio, tenendo in considerazione età, condizioni generali e le patologie associate.
Follow-up
A fine intervento il paziente viene trasferito in terapia intensiva, dove resta in osservazione per 12-24 ore, prima di essere ritrasferito in reparto di degenza. Dopo 4 o 5 giorni dall’intervento il paziente può essere dimesso dall’ospedale e essere trasferito direttamente presso un centro di riabilitazione cardiologica, dove resterà ricoverato per circa 15 giorni.